Joseph Nicolas Cugnot

Al francese Joseph Nicolas Cugnot (1725-) è attribuita la costruzione del primo veicolo auto-mobile, ossia in grado di muoversi da solo, del mondo. Era un veicolo destinato al traino dell’artiglieria, funzionava con una enorme caldaia collocata anteriormente, non riusciva a sterzare. Finì la sua vita contro un muro ma entrò nella leggenda per essere stata la prima tappa nella storia della locomozione meccanizzata. Del suo inventore e costruttore non si sa molto, tranne che morì a Parigi, quasi dimenticato, nel 1804, senza mai essere riuscito a veder funzionare il suo “fardier”.

 

 

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Frontespizio del volume conservato nel Fondo Antico del Centro di Documentazione del Mauto

 

 

Joseph Nicolas Cugnot nacque a Vois (Lorena) il 25 settembre 1725. Gran parte della sua vita ci è ignota e non sappiamo quindi esattamente a quali fonti egli abbia attinto le cognizioni che saranno poi così magistralmente tradotte in realtà tramandando il suo nome ai posteri.

 

 

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Una prolungata permanenza in Germania probabilmente gli consentì di conoscere gli studi e gli scritti dello scienziato tedesco Leopold (1674-1727), autore del “Theatrum Machinarum”, grande e curiosa opera in cui sono descritte le macchine a vapore fino ad allora costruite.

 

Si stabilì in seguito a Bruxelles dove, a quanto sembra, realizzò una prima macchina semovente, andata in seguito completamente distrutta. Dopo essersi dedicato alla progettazione di fortificazioni e apprestamenti militari di vario genere, lo ritroviamo a Parigi nel 1769 quando, per interessamento del generale Gribeauval (al quale si deve fra l’altro il riordinamento delle artiglierie che dettero così buona prova durante l’epopea napoleonica), sottopose al Ministero della Guerra francese un veicolo le cui caratteristiche fondamentali sono descritte nella relazione compilata nel 1800 da Rolland, Commissario generale dell’Artiglieria, e destinata al primo console. Questo modello diede ottimi risultati alle prove, raggiungendo i 9,5 km/h, con quattro persone a bordo. Nonostante la ridotta autonomia (la caldaia era infatti insufficiente e quindi la produzione di vapore consentiva soltanto una marcia di un quarto d’ora), l’esperienza fu stimata positiva e Cugnot ebbe l’ordine di costruire una seconda macchina, più grande, che fosse in grado di funzionare continuamente, con un carico utile di circa 5 tonnellate.

 

 

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Disegno di Carlo Biscaretti del 1956

 

 

Tra il 1770 e il 1771, Cugnot sperimentò a parecchie riprese, nel campo di Vincennes, questa seconda macchina, ma durante una prova questa urtò contro un muro, danneggiandosi seriamente. Il principale ostacolo contro cui si scontrò la macchina di Cugnot non fu però il muro di Vincennes, ma la burocrazia del Ministero della Guerra. L’ostilità conservatrice contro ogni invenzione fu più forte della volontà del Duca di Choiseul (Ministro della Guerra in carica) e dell’entusiasmo di Gribeauval, e Cugnot, dopo aver riparato la sua macchina, non riuscì più a farla uscire dall’Arsenale di Artiglieria, dove rimase fino al 1801, anno in cui fu trasportata al Conservatorio Nazionale delle Arti e dei Mestieri di Parigi (dove si trova tuttora), grazie all’azione del cittadino Molard, uno dei fondatori del Conservatoire.

 

 

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La storia di questa infelice prima automobile è arrivata fino a noi grazie agli Archivi dell’Artiglieria di Parigi.

 

In un rapporto del 1771, il generale Gribeauval scrive: “… Il signor Cugnot ha avuto l’ordine dal duca di Choiseul di eseguire in piccolo una macchina, a spese del Re. Questa macchina ha funzionato l’anno scorso in presenza del signor di Choiseul e andava in ragione di 1800 tese all’ora ma funzionava solo per 12 o 15 minuti, e poi si doveva lasciarla riposare per altrettanto tempo. Il signor Cugnot ha avuto l’ordine di far costruire un’altra macchina, che fosse proporzionata a un carico di 8 o 10.000 libbre e il cui movimento fosse continuo, in ragione di 1800 tese all’ora. E’ stata costruita e pagata; si aspettano ordini per farne la prova…”.


In un esposto del marchese di Saint-Auban, maresciallo di campo dell’Artiglieria, si leggono invece, in termini enfatici, le ragioni dell’”insabbiamento”: “… La mania delle novità, signori, è stata portata a un punto tale che sarebbe a stento credibile: hanno preteso sostituire i carri e i cavalli che trainano l’artiglieria con delle macchine a fuoco, messe in movimento con pompe e pistoni. Si stenterebbe a credere che l’illusione si sia spinta fino al punto di chiedere ed ottenere degli ordini per le prove di una simile macchina, e che le prove siano state fatte parecchie volte, allo scopo e nella speranza di farne un impiego utile per il traino e il trasporto delle artiglierie, se la macchina non esistesse realmente in un magazzino dell’Arsenale di Parigi, dove si può vederla. E’ una macchina ingegnosa quanto inutile… l’inventore è un certo Cugnot”.

 

 

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Ruota motrice e direttrice del carro, disegno di Carlo Biscaretti

 

 

Infatti nel 1851 scoppia un’aspra polemica suscitata dal Generale Morin, direttore del Conservatoire, il quale afferma che il veicolo, nello stato in cui si trova, non sarebbe stato sicuramente in grado di marciare. La caldaia infatti è costruita in modo tale da non consentirne l’impiego: focolare sproporzionato alla massa d’acqua da scaldare, mancanza di uno sfiatatoio adeguato per il fumo e il tiraggio.

 

Di conseguenza, prosegue Morin, o ci si trova di fronte ad una mistificazione oppure il carro avrebbe dovuto essere fornito di un’altra caldaia, mentre quella attuale sarebbe stata applicata in epoca posteriore e costruita da un incompetente.

 

Queste supposizioni vengono però confutate, tenendo conto degli appunti di Molard, che avrebbe effettivamente potuto assistere di persona alle esperienze di Cugnot.

 

Nel 1772 l’inventore della macchina “ingegnosa quanto inutile” ricevette una pensione di 30 luigi d’oro all’anno, ma dovette in cambio rinunciare alla speranza di veder funzionare la sua macchina. Nel 1790 la Rivoluzione gli tolse anche la pensione; ci pensò Napoleone a restituirgliela nel 1800, aumentandola a 1000 franchi l’anno, ma Cugnot se la godette per poco tempo, poiché morì a Parigi, quasi dimenticato, nel 1804.

 

 

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La macchina di Cugnot è un gioiello della tecnica del ‘700: si tratta di un pesante carro di legno a tre ruote, con assale rigido e senza sospensioni, di cui la ruota anteriore è sia motrice sia direttrice. In termini moderni, si tratta di un veicolo da trasporto a trazione anteriore. L’apparato motore è costituito da una caldaia generatrice di vapore e dal motore vero e proprio, a due cilindri. La caldaia, ispirata alla pentola di Papin, è a doppia parete: nella parte inferiore veniva messo il fuoco; la parete interna conteneva l’acqua. Era prevista una valvola di sicurezza, ma non la possibilità di una alimentazione continua, e questo costituiva il maggior difetto della macchina. Il motore è a due cilindri, di complessivi 50 litri di cilindrata. Il vapore veniva immesso nei cilindri per mezzo di un tubo di rame, comandato da rubinetti; lo scarico avveniva ugualmente per rubinetti. Ingegnosissimo è il sistema di trasmissione, a bielle e ruota dentata, che trasforma il movimento alternativo dei pistoni in movimento circolare, applicato all’asse della ruota motrice. La guida avveniva per mezzo di due sbarre di ferro, ma il gran peso dell’apparato motore la ostacolava. Il freno agiva sulla ruota anteriore.


La mancanza di griglia e di focolare distinto nella caldaia, e la evidente difficoltà ad immaginare come un veicolo del genere abbia potuto funzionare hanno indotto numerosi tecnici a credere che la macchina giunta sino a noi non sia completa, e che qualche pezzo sia andato perduto. Si tratta comunque pur sempre di un veicolo sperimentale di cui l’interruzione delle esperienza ha impedito il completo sviluppo.

 

Una felice sintesi di questo straordinario avvenimento della storia della motorizzazione crediamo si possa ritrovare nelle parole di Jacques Ickx che, in “Ainsi naquit l’automobile” (opera fondamentale sulla genesi della locomozione meccanica), ha scritto: “E’ stato conservato, per una interminabile concatenazione di circostanze che sfida il calcolo delle probabilità, il primissimo veicolo motorizzato su scala umana che sia stato mai costruito, trent’anni prima di qualunque altro, in un’epoca in cui era sublime follia. Che non abbia mai funzionato, provocato un seguito, potuto in ogni caso far nascere qualcosa di valido, non fa che identificarlo coll’aspirazione dell’uomo, e questa identità costituisce il meglio del suo valore”.

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