Storia della carrozza

L’arte carrozziera è uno dei prodotti più tipici della civiltà moderna. Nata come opera di artigianato, derivata dalla tradizione secolare della carrozza, è stata rapidamente trasferita in un altro mondo, quello industriale, dove si è trovata improvvisamente a rappresentare un ruolo di crescente importanza. Caso emblematico di un prodotto eminentemente storico e tradizionale innestato quasi senza transizione su di un meccanismo violentemente moderno: agli inizi esitante nell’adattamento, poi prepotentemente rivoluzionaria, a volte inibita ed inibitrice, a volte capace dei più imprevedibili ardimenti, e spesso addirittura stimolo al progresso nel campo meccanico, la prima fra le industrie moderne a lasciarsi guidare dal sempre crescente avvicinamento, fin quasi all’identità, dell’estetica con la funzione. La prima ad incentivare lo studio e l’applicazione su vasta scala dell’estetica nella grande industria.

 

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Come i “carrozzai”, che nel periodo dal XVI al XIX secolo ebbero il loro massimo splendore in tutta Europa (in Italia, spiccano i nomi di Giacomo Pregliasco e Amedeo Demonte, a Torino, di Giovanni Boschetti e della dinastia dei Belloni, a Milano) si trasformarono in “carrozzieri”, con l’avvento del motorismo (e tra questi i primissimi furono ancora Belloni, Locati e Torretta, Alessio, Sala, Castagna), è l’argomento del presente studio. Processo affascinante e tortuoso, con fallimenti ed anacronismi, colpi di genio e sperimentazioni, una scuola estenuante, dalla quale uscirono dei geniali artisti soltanto quando la carrozza a cavalli, con le sue forme e le sue peculiarità, fu dimenticata. Paradossalmente, la perfezione della carrozza ritardò la nascita del concetto di “carrozzeria automobilistica”, nel senso di qualcosa di nuovo e diverso dal passato.

 

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Della carrozza infatti i “carrozzai” non erano soltanto stilisti nel comune significato del termine, ma anche tecnici espertissimi, costruttori non solo della carrozzeria, ma dell’intera carrozza, parte meccanica e ruote comprese. Il carrozzaio era l’unico responsabile del suo lavoro, non doveva nulla a nessuno, tranne il rispetto della tradizione e della impeccabile tecnica carrozziera consolidatasi dopo esperienza secolare. Alla fine dell’Ottocento la carrozza era un prodotto assolutamente perfetto: comoda, elegante, raffinata, funzionale anche per lunghi viaggi, e diffusissima (nella sola Parigi, dove risiedevano i carrozzai più celebri, circolavano oltre 100.000 carrozze).

 

carrozze

 

Vi erano le Berline, così denominate dal loro luogo d’origine, derivanti da un esemplare realizzato su disegno dell’architetto di Federico Guglielmo: veicoli a quattro ruote con casse sospese a cinghie, vetri e copertura mobile.

 

berlina

 

Era diffuso il Coupé, a quattro ruote e due posti, così detto perché come “tagliato” (coupé in francese) fuori dalla cassa centrale di un veicolo più grande. Un capostipite di questo tipo di carrozza fu detto “coupé-diable” per il fracasso appunto diabolico che faceva sul pavé di Parigi. Non dissimile era il Fiacre e un’altra vettura pubblica detta gondole, un fiacre arrotondato.

 

fiacre

 

Quindi vi era il Break, originariamente un veicolo usato per domare i cavalli (dall’inglese, to break in), dunque un veicolo pesante, che più tardi fu usato per il trasporto di passeggeri. Il Cab e il Cabriolet risalgono alla stessa epoca (inizio dell’Ottocento): una sedia da posta leggera, ad un cavallo, con mantice. La cabriole era il salto a montone del cavallo, e da questo termine derivò la definizione di un veicolo che, per la leggerezza, sottoponeva i suoi passeggeri a forti sobbalzi.

 

cab

 

Il Brougham derivava invece da una carrozza concepita per il Cancelliere dello Scacchiere Lord Brougham (1834); originario da un nome proprio anche il Derby, dal nome del nobile fondatore della celebre corsa di cavalli. Il Tonneau era una vettura leggera  a due ruote, due o quattro posti, con entrata posteriore e sedili longitudinali. Il Landau era così chiamato in onore della città tedesca dove ebbe origine, una cassa a quattro posti protetti da doppio mantice apribile e panchetta per il cocchiere.

 

landau

 

Ultime a comparire sul mercato prima dell’avvento del motore la Wagonnette (1880-1890), a quattro ruote, cassa bassa, sedili longitudinali; e la Giardiniera, per trasportare cose e persone.

 

wagonnette

 

Non stupisce insomma se gli artigiani della carrozza a cavalli, con una centenaria tradizione alle spalle, siano stati i carrozzieri delle prime automobili, la categoria a cui i costruttori dei primissimi motori si rivolsero inevitabilmente per dare forma esteriore al nuovo veicolo. Ma questo provocò uno sconquasso che sicuramente pochi furono in grado, allora, di prevedere.

 

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Di punto in bianco i carrozzai, non ancora carrozzieri, di tutta Europa, soprattutto in Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia, si trovarono di fronte a qualcosa di “interno” che aveva molta più importanza dell’esterno. All’improvviso il confort, la comodità, la bellezza delle carrozze che avevano costruito per secoli non interessavano più, o quasi. I loro clienti più benestanti erano stati colti da un raptus inspiegabile che li spingeva ad affrontare le intemperie, la polvere, la pioggia, il sole senza alcuna protezione, tra scosse e sussulti, continue pannes e cambi di gomme, una tortura incomprensibile. E per di più si chiedeva loro di raccordarsi ad una categoria, quella dei costruttori, degli ingegneri, dei progettisti del motore, tutt’altro che chiara nei propri intendimenti, ma convinta (spaventosa eresia!) che la parte meccanica fosse il vero cuore del veicolo. I carrozzai non erano più i “solisti”, protagonisti assoluti della scena; veniva loro domandato di trasformarsi in “orchestrali” e neanche di prima fila, perché si proclamava a chiare lettere che il punto cruciale del nuovo veicolo era che fosse in grado di muoversi da sé, non certo che ci si stesse comodi…

 

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Giustificabile che il carrozziere fin de siècle vedesse nel motore un nemico, e cercasse ogni mezzo per frenarne il progresso e contenere entro limiti ristretti la trasformazione del veicolo dalla trazione a cavalli alla trazione a motore. Modificare la linea classica parve eresia; il motore era un accessorio utile, sì, ma da tenere accuratamente celato. E poi, motore era una parola vaga; era un essere informe e sconnesso, su cui c’era poca uniformità di vedute.

Neppure i più celebri pionieri vedevano chiaro nel suo avvenire, se persino Levassor, uno dei padri dell’automobile, colui che sposando la vedova del belga Sarrazin ne aveva sposato anche la licenza del motore Daimler per la Francia, persino Levassor prese un brevetto nel 1895 per un dispositivo che permettesse con facile manovra e secondo le esigenze dell’utente di mutare il modo di trazione della sua carrozza da ippico a meccanico, attaccando a scelta una pariglia o un trattore. E se il grande Ferdinand Porsche, nel 1899, ebbe l’idea di un veicolo dotato di un motore elettrico collocato in ciascuna delle ruote anteriori; per quindi dedicarsi anima e corpo (nonché molti milioni  del carrozziere Ludwig Lohner) ad una vettura mista (oggi si direbbe ibrida) benzo-elettrica. Non c’era, infatti, neppure accordo sulla natura della propulsione.

 

I carrozzieri si trovarono di fronte a motori elettrici, a vapore, a scoppio, misti, ciascuno con caratteristiche peculiari molto diverse e con pesi diversi di acqua, combustibile, batterie, da sistemare, dissimulare, rendere compatibili con sedili, portiere, ruote, pianali. Ne originò un periodo di grande confusione, anzi, come dicono gli storici quando si trovano di fronte a tendenze contraddittorie, un periodo di transizione. Ossia i carrozzieri stentavano a dimenticare le bellissime forme che erano state la loro gloria fino a pochi anni prima, e non riuscivano neppure a rinunciare a dettagli anacronistici come il portafrusta o il portaombrelli. Ciò complicava i problemi da affrontare, che già in partenza non avevano confini ben definiti: stavano a metà tra l’arte meccanica e l’arte carrozziera, come le ruote, la sospensione, i pesi non sospesi, lo sterzo, la sistemazione dei passeggeri e del pilota (non si pensi che questi sia sempre, automaticamente, sistemato davanti: sulla Bedelia del 1911 il pilota si trova dietro al passeggero, in posizione tandem).

 

bedelia

 

Il periodo di transizione, che fu l’epoca eroica della carrozzeria, tenne i carrozzieri sempre in tensione nelle battaglie fra i vaporisti e gli elettricisti, che lottavano per il primato. Come un riflesso delle bellissime forme che erano state la gloria dell’arte carrozziera al tempo della trazione a cavalli, vedevano la luce le più sconclusionate ed effimere originalità, come i progetti mostruosi presentati al Concorso dei Magasins du Louvre nel 1895 e la tripla berlina del 1910 di Alain e Liautard su chassis Grégoire. Era una sfrenata baraonda, un ribollire di idee…

 

figaro

 

Ma presto i progettisti del nuovo veicolo a motore, sempre più persuasi che l’invenzione del motore fosse una cosa seria e di sicuro avvenire, tanto seria da far prevedere che in poco tempo avrebbe soppiantato la trazione a cavalli, provvidero a dare ordine a quanto andavano realizzando. Intendendo per ordine una sistemazione razionale di tutti gli organi, tale da lasciare libero uno spazio decoroso per alloggiare i passeggeri, almeno nelle stesse condizioni in cui il problema era stato risolto sulle vetture a cavalli. Quindi non più un motore sistemato alla bell’e meglio come un organo secondario e non di vitale importanza, non più impedimenti di ogni genere e tali da intralciare l’opera del carrozziere, ma tubi, rubinetti, comandi, maniglie, organicamente raggruppati e possibilmente sistemati a portata di mano sul cruscotto; vasche dell’acqua e della benzina facilmente accessibili. Tanto per fare un esempio: quasi tutte le automobili di fine Ottocento avevano il serbatoio della benzina sotto i sedili e per fare il pieno occorreva far scendere gli occupanti e versare il liquido in posizione tanto scomoda che gran parte di esso se ne andava dispersa.

 

Questo rese finalmente meno tormentoso il compito del carrozziere, pedina oramai fondamentale nell’ultimazione del prodotto automobile (è da ricordare infatti che fino agli anni venti l’automobile veniva consegnata al cliente dalla Casa costruttrice solo come telaio e motore; alla carrozzeria provvedeva il cliente, ordinandola presso il carrozziere di fiducia, secondo i suoi gusti e le sue esigenze). Nei primissimi anni del motorismo dominò incontrastata la vettura aperta, ispirata al phaeton.

 

phaeton

 

Il carrozziere tendeva a mantenere immutabile la concezione del veicolo e perciò pensava che non fosse necessario riparare il corpo del passeggero dalle intemperie. Era il passeggero che doveva essere provvisto di tutto ciò che poteva valere a difenderlo. Con questi criteri risulterà per molti anni inutile, o per lo meno un semplice accessorio, il parabrezza. Che molti screditeranno ritenendolo pericoloso, perché in caso di incidente il povero autista sarà sfregiato dal vetro contro cui inevitabilmente urterà la faccia. I primi timidi vetri anteriori saranno mobili, rialzabili, incorniciati largamente di legno.

 

dos à dos

 

Ma altrettanto inutili e non pericolose venivano considerate anche le portine anteriori o posteriori, capaci di riparare le gambe dal freddo. Si voleva infatti lasciare all’occupante il massimo di mobilità in caso di accidente, vuoi per mettersi in salvo, vuoi per trattenere la macchina o giungere in tempo a collocare sotto le ruote il sasso provvidenziale (che si teneva molto spesso sulla vettura) qualora i freni non agissero in caso di arresto in salita. C’era anche un motivo meno nobile: il carrozziere non riusciva ancora a risolvere il problema costituito dalla trasmissione a catena, sistemata in modo da impedirgli le porte laterali. Questo spiega la fortuna del “tonneau” con entrata posteriore e sedili longitudinali. Quanto poi alla sicurezza, o alla semplice visibilità, il problema era bellamente ignorato: vi erano anche le carrozzerie “vis-à-vis” o “dos-à-dos”, con i sedili davanti a quello del guidatore, il quale doveva indovinare i pericoli dalla strada sporgendo il collo come a teatro.

 

dos à dos

 

 

 

I parafanghi, poi, continuarono per molti anni ad essere delle modeste coperture poco più larghe della ruota, quasi sempre in legno, spesso di cuoio, e molto più tardi in lamiera bordata. Tutt’al più si applicavano sui parafanghi anteriori, verso il telaio, dei grembiali di cuoio, protettori degli schizzi di acqua e di fango. E per ripararsi dal flagello della polvere non ci sarà altro rimedio che gli immensi teli tesi posteriormente in posizione quasi verticale, e che compivano alla meno peggio la loro opera.

 

Altro intralcio gigantesco nella progettazione della moderna automobile fu la sospensione. Quella in uso sulle carrozze, di grande raffinatezza, si trasformò nell’errore su cui si pretese di costruire l’automobile, dimenticando che questa partiva da necessità ben diverse. Tutto era differente, infatti, sul veicolo a motore: la velocità, l’accelerazione, il centro di gravità, l’assale anteriore snodato, il meccanismo assolutamente diverso nell’eseguire la curva, la trasmissione rapida e diretta dei comandi dall’uomo agli organi, che nulla aveva a che vedere con quella dalle redini nel pugno del cocchiere ai cavalli. Fu lento il percorso alla consapevolezza di cosa rappresentasse la sospensione nella tenuta di strada e che la minore o maggiore flessibilità delle balestre, su cui i carrozzieri tanto si esercitarono, non risolveva nulla se non si fosse provveduto anche a frenarle “sul ritorno”. E anche in questo caso, fu di fondamentale importanza, per risolvere il problema (i primi ammortizzatori compaiono tra il 1906 e il 1912) la collaborazione tra carrozziere e costruttore meccanico.

 

Naturalmente le carrozzerie di quell’epoca, come seguivano la linea della carrozza a cavalli, così ne copiavano i metodi di costruzione: dunque scocca interamente in legno, lavorata a regola d’arte da maestri falegnami, con una precisione sbalorditiva ed una cura del particolare che testimonia il secolare apprendistato in materia. All’epoca esisteva ancora la perfetta stagionatura del legno, che non veniva messo in opera se non dopo un lunghissimo periodo di riposo in fabbrica, e mai i carrozzieri si sarebbero arrischiati ad adoperare legno che conservasse anche la minima traccia di umidità.

 

Man mano che la potenza del motore e la velocità aumentavano e con essa il peso dell’autotelaio e delle persone e cose trasportate, le carrozzerie per auto furono rinforzate con robusti cantonali di ferro forgiato; tutti gli accessori furono irrobustiti a partire dai parafanghi che diventarono ampi e di lamiera più spessa, e largamente protetti i fianchi da grembiali sagomati. Si cominciava ad avere maggior riguardo per il viaggiatore e si tentava di proteggerlo dal vento e dalla pioggia con un tetto, con vetro anteriore e tendine laterali. Soprattutto si fece lentamente strada la percezione che la velocità imponeva un guidatore ancorato, e i passeggeri non solo seduti, bensì in qualche modo “contenuti”. I posti si facevano più comodi e ben imbottiti, per quanto si mantenesse l’entrata posteriore a causa sempre della poca lunghezza del telaio, il che rendeva poco piacevole l’uso della macchina per i passeggeri posteriori.

 

Molto in voga dal 1902 al 1908 il tonneau: vettura assolutamente aperta, in cui i passeggeri erano coperti da un mantice estensibile fino a congiungersi con il cristallo anteriore, proteggendo così interamente l’interno con l’aiuto delle tendine laterali. Nel tonneau ad entrata posteriore l’accesso era ostacolato dal mantice: per introdursi nella vettura i passeggeri erano costretti ad infilarsi sotto gli archi del mantice stesso. Verso il 1903 i telai erano già tanto lunghi da permettere in alcuni casi l’entrata laterale, circostanza che migliorò in modo definitivo l’uso della vettura.

 

tonneau

 

Con l’avvento della limousine (cosiddetta da un tipo di vettura francese originaria della regione del Limousin) ci si avvia lentamente verso la guida interna. Nella limousine la parte posteriore era chiusa e i passeggeri quindi completamente al riparo mentre il tetto che si prolungava fino al cruscotto proteggeva insieme ad un ampio vetro divisorio i posti anteriori.

 

Verso il 1905-1906 alla struttura tutto legno si cominciò ad applicare i pannelli in lastra battuta; prima in lamierino d’acciaio e più tardi in alluminio. Nello stesso tempo si cominciò a fare molto uso del carter in lamiera, ricoprendo accuratamente tutte le parti meccaniche e dando quindi alla carrozzeria  una linea più elegante e completa, liberandola da tutte quelle piccole interruzioni e sbalzi sgraziati causati proprio da organi meccanici sporgenti ed in vista, molti dei quali venivano soppressi per la stessa evoluzione della tecnica. Sparirono così la manovella d’avviamento, i grandi fari, la tromba con il suo lungo tubo. Questo non successe, ovviamente, in modo facile e fluido: nel 1915 una casa costruttrice che aveva nascosto il tappo del radiatore sotto il cofano fu costretta, dalle proteste della clientela, a risistemarlo dov’era. L’adozione della lastratura d’alluminio, comunque, segnò un grande passo avanti: il metallo, meglio plasmabile del legno, permetteva una maggiore leggerezza e facilità di lavorazione. Nascevano i primi batti-lastra: figura mitica dell’automobilismo d’antan, che spesso ha riassunto idealmente in sé i mille mestieri necessari a realizzare una automobile nei primi venti anni del secolo scorso.

 

Ed infine nel 1908 nacque il famoso modello torpedo, nome originato dalla sua linea armonica e filante che va dal radiatore alla coda. Soltanto con la torpedo, dotata persino di un parabrezza articolato e regolabile e dal 1910, raffinatezza suprema, di un tergicristallo a mano, i principali problemi del connubio carrozzeria – motore furono affrontati e risolti e  l’automobile divenne una cosa seria, non più retaggio esclusivo di pionieri spericolati e avventurosi. La sua elaborazione durò un paio di anni e nel 1910 essa si presentava perfetta, tale da eliminare una quantità degli inconvenienti che rendevano poco pratiche ed usabili le antiche carrozzerie. Il nuovo modello segnò veramente un’epoca, conferendo all’automobile un aspetto pratico ed elegante, in cui tutti i residui del passato erano stati eliminati. La parola stessa, “torpedo”, divenne sinonimo di automobile.

 

torpedo

 

Per circa un ventennio, tra il 1910 e il 1930, la torpedo, piccola o grande, a 4 o a 6 posti, di lusso o utilitaria, ebbe grande diffusione e fu l’automobile per antonomasia, la sola che non derivasse direttamente dalle carrozze a cavalli (BD353). Pare accertato che la prima torpedo sia stata una Mercedes da 45 cavalli presentata al Salone di Parigi del 1908. Pur assomigliando ai tipi precedenti, questa Mercedes se ne staccava esteticamente per un design innovativo concettualmente: il cofano motore si raccordava alla scocca e questa proseguiva, senza modanature e fronzoli, incorporando le porte anteriori e posteriori, mentre i sedili, appena sporgenti oltre la linea di cintura, erano incorporati all’interno della scocca stessa. Ne risultava un insieme omogeneo stilisticamente, molto profilato, elegante e che costituiva di per sé un rimando alle prestazioni della vettura. Il suo disegno era dell’inglese William Alfred Lamplugh, che, trasferitosi in Francia, aveva fondato la Lamplugh et Cie. – Carrosserie Automobile nel 1899.  Fu lui a stendere sulla carta le linee progettuali innovative della nuova automobile.

Insomma, una gran macchina davvero, non troppo lussuosa e quasi sportiva al tempo stesso. Era opera della carrozzeria Rothschild (ex Rheims et Auscher), di Parigi. La Rothschild divenne la più prestigiosa carrozzeria di Francia ed aprì, nel 1906, una sede anche a Torino in via Madama Cristina 147: la Carrozzeria Italiana Rothschild società anonima. Questa affiliazione italiana, qualche anno più tardi, fu acquisita dalla Fiat e divenne la Sezione Carrozzerie Fiat.

 

La stessa casa Rheims et Auscher aveva già, molti anni prima, realizzato un tipo di carrozzeria “profilata”, progenitrice  illustre della torpedo: la Jamais Contente (1899), una  vettura elettrica da record, progettata dal belga Jenatzy, a sagoma di siluro, ma con un curioso anacronismo: il pilota era con mezzo busto completamente fuori dalla scocca, offrendo un magnifico bersaglio all’attrito dell’aria. Vettura che entrò nella leggenda, oltre che nella storia, per essere stato il primo veicolo capace di superare i 100 chilometri all’ora. La Rheims et Auscher aveva anche realizzato la  Bollée ‘torpille’, sempre nel 1899, e la vettura da corsa Mors vincitrice della corsa Parigi-Madrid nel 1903.

E analogamente possiamo considerare un primo modello di pre-torpedo la carrozzeria realizzata da Kellner per la Serpollet da record detta “uovo di Pasqua” e che raggiunse nel 1903 a Nizza i 123 km/h.

 

I benefici apportati dalla diffusione della torpedo, a partire dal 1910,  si rifletterono sulle carrozzerie chiuse, coupé e limousine: per esempio con l’abbassamento, per tutte, della linea di cintura. Circostanza che se tendeva a migliorare l’estetica diminuiva l’abitabilità ed obbligava il carrozziere a cercare sul fondo quando perdeva in alto, abbassando i cuscini ma rendendo più razionale la posizione del guidatore seduto. La situazione migliorò quando il costruttore si ingegnò in tutti i modi ad abbassare al limite il telaio.

 

Sono anni di grande euforia creativa, di cambiamenti e di invenzioni. Alla rivoluzione portata dall’affermarsi della torpedo contribuì anche quel genio di Porsche, uno dei progettisti più longevi e fecondi del secolo scorso. Il suo colpo d’ala fu di pensare alla tecnica aeronautica, ed intuire, quando tutti si concentravano su come aumentare la potenza, l’importanza di ridurre il peso, diminuire gli attriti, vincere la resistenza dell’aria. Così nel 1910 costruì la sua carrozzeria Tulipano, senza angoli, con cofano in leggera salita, parafanghi dal bordo anteriore tagliente e le sporgenze, anche le più piccole come fari e maniglie, ridotte al minimo. Aveva intuito, primo fra tutti, il significato dell’aerodinamica, e il suo Tulipano, insieme alla Torpedo, costituirono l’inizio dello studio razionale della forma. La torpedo si prestava infatti meglio degli altri tipi alle prime esperienze di profilatura, che al principio furono limitate alla parte posteriore della scocca: si ebbero così, a partire dal tulipano di Porsche, la torpedo tutta pontata, la torpedo-palla, lo skiff di Labourdette, la torpedo-barca di Citroen, la “goutte d’eau” (“goccia d’acqua”, ovvero la torpedo carenata), la Rumpler del 1921 tutta di derivazione aeronautica. Successivamente (ma siamo già nella seconda metà degli anni venti) si cominciò a capire che non bastava la profilatura limitata alla parte posteriore della cassa, ma che le forme completamente chiuse, a differenza di quelle aperte, non solo avevano maggiore penetrazione nell’aria, ma erano anche più facili da modellare. I carrozzieri si orientarono sempre più massicciamente verso forme di carrozzeria abbassate, con il cofano più alto e il parabrezza più basso, a guida prevalentemente interna.

 

La storia della guida interna (ossia, della moderna berlina) è curiosa. Innanzitutto perché è la sola forma di carrozzeria che, più di altre, sancisce la nascita del proprietario-guidatore, in quanto cancella la divisione tra chi guida e chi è trasportato: dunque è propedeutica ad una sempre più ampia diffusione dell’automobile tra crescenti strati di popolazione “borghese”, e alla nascita dell’automobile “utilitaria”, cioè l’automobile non più oggetto di divertimento per classi agiate, bensì strumento di vita e di lavoro, in una parola “utile”. Ed è curiosa anche perché nasce, in realtà, nel 1899. Infatti, il primo esempio di vettura in cui i viaggiatori sono interamente chiusi al riparo, è il prototipo costruito da Luigi Renault nel 1899, su telaio suo e motore De Dion Bouton: una sorta di armadio sgraziato, alto 1,90 m. Rimase però un tentativo isolato, e fu dimenticato per anni finchè nel 1903 non si ebbe notizia di quanto aveva realizzato l’americano Leland su una Cadillac, che precede a sua volta di circa venticinque anni il definitivo prevalere della forma a guida interna su qualsiasi altra forma di carrozzeria.

 

guida interna

 

Quando questo successe, quando cioè la berlina divenne la forma prevalente di carrozzeria, era già avvenuta un’altra rivoluzione, al contempo causa ed effetto della diffusione dell’automobile tra strati crescenti di popolazione: l’estendersi progressivo di un’automobile consegnata già carrozzata dalla Casa, che si avvantaggiava a fornire un prodotto completo, standardizzato, fabbricato in grande serie e offerto a prezzi sempre più bassi. L’industria carrozziera risentì fortemente di questi nuovi indirizzi costruttivi, e nel tentativo di difendere il suo campo d’azione da questa nuova minaccia si rifugiò nella trincea della carrozzeria fuori-serie.

 

Stiamo però parlando di processi che interessano un prodotto industriale ormai maturo, con una sua identità propria, autonoma, particolarissima. L’automobile aveva cancellato in pochi anni la trazione animale che pure aveva dominato per secoli e secoli. Aveva eliminato distanze, ridotto tempi, cambiato il modo di vivere, di viaggiare, di lavorare e persino di farsi la guerra. Con la carrozza a cavalli non aveva più alcun rapporto, né di sudditanza, né di ispirazione. E di questo velocissimo passaggio da un’era all’altra i carrozzieri possono dirsi, a buon diritto, assoluti co-protagonisti.

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