Storia, tecnica e stile FIAT 508 Balilla

Presentata nel 1932 e battezzata Balilla, la Fiat “508” è stata la più popolare vettura utilitaria dell’epoca, modernissima e al tempo stesso semplice nell’impostazione meccanica (motore a 4 cilindri di meno di un litro, a valvole laterali, cambio a tre marce) ma già con i freni a comando idraulico. Offerta con carrozzeria berlina a due porte, torpedo e spider, cui si aggiunse più tardi una versione sportiva, conobbe un successo enorme per le sue doti di economia, robustezza, brillantezza di prestazioni. La berlina costava 10.800 lire. Rimase in produzione fino al 1937, costruita in oltre 113 mila esemplari. Carrozzeria berlina a 2 porte e 4 posti.

 

Dono della Famiglia Bruzzone, Sanremo (Imperia)

 

Motore: 4 cilindri

Cilindrata: 995 cc

Potenza: 20 CV a 3400 giri/min.

Velocità: 85 km/h

Peso: 990 kg

 

Due linee di progetto totalmente nuove rispetto alla precedente produzione erano state avviate in Fiat, nel 1931. La prima sviluppava un’ipotesi d’avanguardia: un modello con motore bicilindrico, raffreddato ad aria, a trazione anteriore, il cui progetto era seguito dall’ing. Lardone. La seconda proponeva invece un’automobile moderna, con motore anteriore a quattro cilindri a trasmissione posteriore, ma sostanzialmente legata alla filosofia progettuale tradizionale. Era seguita dall’ingegner Fessia. Il caso, o meglio un incendio che distrusse completamente il prototipo della vetturetta di Lardone, decise a favore del progetto di Fessia, che nel giro di pochi mesi fu portato a termine in tempo per la presentazione della vettura al V Salone dell’Automobile di Milano, inaugurato l’11 aprile 1932. “Oggi tutti i profeti, i critici e i consiglieri del patrio automobilismo canteranno vittoria. Chi non ha auspicato, o non s’è battuto, in Italia, da un lustro a questa parte, per l’automobile popolare, sotto le varie denominazioni di macchina economica, di vetturetta, di vettura ultra-utilitaria, di automobile tascabile, e via discorrendo? E’ logico dunque che, vedendosi finalmente coronato il lungo fervido sogno di tutti, ognuno sente un poco l’orgoglio della paternità morale della nuova creazione Fiat, che affronta oggi il battesimo del pubblico al Salone di Milano. Infatti la principale caratteristica della nuova Balilla è proprio quella di soddisfare tutti i gusti, le tendenze, i desiderati dei vari zelatori nostrani della vetturetta, senza prendere netto partito per una data categoria a scapito delle altre. E non per virtù di approssimati compromessi tra le esigenze delle varie classi della clientela, ma proprio per aver risolto al cento per cento ogni peculiare problema di ciascuna classe. L’eccezionalità dell’evento industriale, la sua portata di avvenimento nazionale, il coro di entusiasmo ch’esso ha destato in tutta la Penisola, sono in funzione di questo suo straordinario carattere di aderenza tipica ai gusti e alle attese più svariate; ed è perciò che la comparsa della Balilla va salutata anche su queste pagine come il più importante fatto dell’automobilismo italiano nel dopoguerra”. Cosa rendeva tanto eccezionale la piccola Fiat? Il prezzo, innanzitutto. Costava 10.800 lire, e lo spider 9.900. Per la prima volta dunque veniva offerta una vettura italiana per una cifra intorno alle diecimila lire, il che, nell’immaginario collettivo, costituiva un po’ il discrimine tra la macchina di tutti e la macchina di pochi. A questo si aggiunse l’intervento di Mussolini, che introdusse la franchigia dalla tassa di circolazione a tutto il 30 giugno 1933 per le vetture utilitarie nazionali nuove di fabbrica, intendendosi per utilitarie le macchine con potenza fino a 12 cavalli e prezzo fino a dodicimila lire (il che era un altro modo per dire Fiat 508 Balilla, perché non esisteva altro con queste caratteristiche sul mercato italiano). Era un provvedimento in realtà meno rivoluzionario di quanto può parere a prima vista, perché le vetture di nuova immatricolazione e nuove di fabbrica godevano già di franchigia per i primi sei mesi. Tradotto in cifre, il dono del regime agli acquirenti della Balilla corrispondeva a circa 250 lire. Analogo dono veniva fatto, grazie a un disegno di legge presentato dal Ministro della Guerra Gazzera, agli acquirenti di autocarri nuovi per merci, fabbricati in Italia, come di trattori agricoli e di autoinnaffiatrici, purché di fabbricazione italiana.

 

Per tornare alla Balilla, non era soltanto il basso costo di acquisto la prerogativa principale, bensì anche il modico costo di esercizio. Se ne vantava un costo per le riparazioni decisamene minore rispetto, per esempio, alla Fiat 509, cosa sicuramente vera: basta pensare che per sostituire la frizione in una 509 occorreva estrarre il ponte, le ruote posteriori e le balestre, nonché staccare la fune dei freni posteriori ed il cambio, mentre per la Balilla bastava estrarre il solo cambio di velocità. I freni idraulici, applicati per la prima volta su una vettura popolare, oltre a permettere una condizione di sicurezza innegabilmente migliore, richiedevano un minor numero di registrazioni. Anche il telaio (controventato da una robusta crociera) e la verniciatura della carrozzeria (alla nitro-cellulosa) erano vantati come due caratteristiche in grado di garantire alla vettura maggiore solidità, durata e robustezza. Tra la 509 e la 508 vi erano 170 chilogrammi in meno in favore della Balilla, il che poteva corrispondere a circa due litri in meno di consumo carburante ogni cento chilometri. A conti fatti, il complessivo costo chilometrico, incluso l’ammortamento del capitale, gli interessi, i rifornimenti e la manutenzione, era stato calcolato tra i 30 e i 40 centesimi, un record.

Nel coro entusiastico, nel plauso di un’intera nazione al prodigioso ritrovato della produzione nazionale, ci fu chi si permise qualche critica. Qualcuno osò richiamarsi alla Renault 6 HP, stupendosi che una vettura così spaziosa, brillante e ben congegnata potesse costare soltanto tremila lire in più della vettura italiana; qualcun altro si permise di dubitare che tra la Fiat 509 e la Fiat 508 ci fosse un effettivo progresso. E’ molto interessante soffermarsi su queste critiche. “Una critica affrettata, partigiana ed ingiusta”, scrive Auto Italiana (10 agosto 1932) – “paragonare la Balilla…ad altre vetturette straniere è enorme, assurdo, delittuoso”. Il delitto consisteva nel notare un regresso (rispetto alla 509) nella carreggiata e nell’interasse, e perciò nell’abitabilità, della carrozzeria impavidamente definita “lillipuziana”, più piccola ancora della 750 Rosengart; una minima differenza di prezzo rispetto alla “nove”, venduta a dodicimila lire soltanto sette anni prima; la mancanza della quarta marcia, già avvertita pesantemente sulla macchina precedente. Insomma una vettura più piccola, altrettanto costosa o quasi, poco brillante, di un’automobile studiata e progettata dieci anni prima, mentre la concorrenza internazionale poteva vantare vetturette di concezione assolutamente nuova come la Rosengart, la Peugeot 201, la Donnet, Salmson, Amilcar, DKW, Opel, Wanderer e Ford 8HP…

 

In realtà le dimensioni interne delle Balilla erano più che rispettabili: la larghezza interna netta e la luce libera tra pavimento e cielo coincidevano quasi con la Fiat 522, vettura di classe ben superiore. Il prezzo però era sicuramente alto, troppo alto per l’assoluta maggioranza della popolazione italiana. Non a caso lo stesso senatore Agnelli, nel corso di una relazione alla presenza degli azionisti Fiat, affermò: “La Balilla, con il suo significativo successo, è caposaldo dell’incremento automobilistico nazionale e anche nell’avvenire essa avrà parte importante nella gamma di produzione Fiat. A essa si aggiungerà nel futuro una piccola due posti che sia atta a dare maggiore diffusione all’automobilismo in Italia, rispondendo così alle necessità preminenti del mercato ovunque caratterizzato dal sopravvento della vetturetta economica”. Ecco, già si parla di una piccola due posti, la futura Topolino, e non è neanche passato un anno da quando è stata presentata la Balilla. Alla fine del 1932 in Italia circolavano circa diecimila Fiat 508 (su una produzione di circa 12.000). Dal 31 marzo 1932 al 31 dicembre dello stesso anno, la circolazione in Italia era passata infatti da 213.001 a 227.445 autovetture. Un buon risultato, considerando che di 509 ne erano state costruite in un anno appena duemiladuecento. Un risultato quasi ininfluente ai fini però di una effettiva diffusione dell’automobile in Italia. In conclusione, i problemi erano stati affrontati ma non risolti completamente. Ma era già molto.

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