Storia, tecnica e stile FIAT 600

Erede della Topolino, la “600” venne lanciata nella primavera del 1955, destando sensazione per le soluzioni costruttive d’avanguardia a cominciare dal motore montato posteriormente e dalla sospensione a 4 ruote indipendenti. Di prezzo conveniente (costava 590.000 lire) e con bassi costi d’esercizio (consumo medio 5,7 lt./100 km), la “600” ha rappresentato un’autentica svolta nei costumi della società italiana, diventando in breve la protagonista dell’inizio della motorizzazione di massa. Prodotta anche con tetto apribile, e più tardi anche nella versione “Multipla” a guida avanzata e spazio interno per sei persone o merci, la “600” rimase in produzione fino al 1970. Fu costruita in 2.695.197 esemplari

 

Dono della Famiglia Massocco, Torino

 

Motore: posteriore a 4 cilindri

Cilindrata: 633 cc

Potenza: 22 CV a 4600 giri/min.

Velocità: 95 km/h

 

Se Valletta avesse deciso di affidare le scelte produttive della Fiat ai risultati di un’indagine di mercato, avrebbe dovuto rassegnarsi a produrre soltanto trattori e ciclomotori. Se avesse preso sul serio, come parametro di decisione, i dati sulla struttura e sulla dinamica del reddito nazionale, difficilmente , non avrebbe annunciato, nel 1953, la preparazione di “un modello di vettura minore, ultraeconomica”. Valletta, se mai, decise di ribaltare il criterio: sarebbe stata la sua vettura la spinta all’accrescimento del reddito nazionale procapite, non il contrario. Quella scelta venne fatta dunque non perché i tempi erano maturi, ma per renderli tali, anche se si correva il rischio di vendere la 600 ad un prezzo che avrebbe garantito un margine di utile molto ristretto.  Erano passati dieci anni tra la fine della guerra e l’effettiva uscita sul mercato della Fiat 600, dieci anni in cui la produzione di vetture utilitarie consistette unicamente nella produzione della Topolino e delle sue varianti. D’altronde  il volume di capitali che risultò necessario impegnare per produrre un modello in grande serie (cosa che la 500 del 1936 non era mai stata), fu gigantesco. Ci si sottopose a sforzi immensi, ed indebitamenti da capogiro, sostenuti grazie agli azionisti e agli obbligazionisti. Nello stesso tempo però occorreva sostenere in maniera adeguata il livello dei salari e degli stipendi, in modo da porre le condizioni per una diffusione di massa del nuovo modello. Queste condizioni furono raggiunte nell’estate del 1953.

Già da tempo però Dante Giacosa, responsabile della progettazione, e i suoi collaboratori lavoravano al progetto della “100” (così si chiamò inizialmente la Seicento). Si era consapevoli infatti della necessità di sostituire la 500 C. La 500 C Giardiniera, con carrozzeria in legno e masonite, aveva sì avuto grande successo, ma non poteva essere prodotta in grandi quantità ancora per molti anni. Si puntava ad un veicolo moderno, a quattro posti, con un peso non superiore a quello della 500 e costo inferiore. Giacosa si rese rapidamente conto che per raggiungere entrambi gli obiettivi occorreva abbandonare lo schema tradizionale (motore anteriore, trazione posteriore) e adottare la sistemazione del gruppo motore-trasmissione o  tutto avanti o tutto dietro. Partì dalle dimensioni dell’abitacolo, che doveva essere sufficiente ad accogliere quattro persone, per arrivare alla forma esterna. Poi, i costi, e quindi il peso del materiale impiegato nella costruzione. Fu la valutazione del costo a fargli scegliere la disposizione del tutto dietro. La “tutto avanti”, che gli avrebbe consentito un grande spazio per la carrozzeria, risultava di costruzione nettamente più cara di quello che gli era stato concesso. La vettura con il motore dietro, essendo più leggera, era anche più economica.

 

Scelta dunque la posizione del tutto dietro, Giacosa si concentrò sul raffreddamento, che in un primo tempo disegnò ad aria, e il cambio, che ricalcò dal rivoluzionario cambio usato a suo tempo sulla Cisitalia. Doveva essere un cambio automatico o semiautomatico, in modo da eliminare il pedale della frizione e rendere ancora più facile l’uso della vettura, che si immaginava acquistabile anche da chi fino a quel momento non aveva mai guidato. In realtà questo cambio si rivelò molto più difficoltoso del previsto e lo stesso Salamano, ex pilota di vaglia e collaudatore per eccellenza delle vetture Fiat, stentava a raccapezzarcisi. Giacosa dovette rassegnarsi ad un gruppo motore tradizionale, a quattro cilindri (il disegno iniziale ne prevedeva due), raffreddato ad acqua, con un cambio normale a quattro marce. Nel gennaio del 1953 le specifiche del progetto erano: motore a quattro cilindri di 570 cc, potenza 16 CV, peso previsto della vettura a vuoto 515 kg, velocità massima 88 km/h. Pur essendo uno schema tradizionale, parecchi erano i dettagli di grande originalità. Per esempio, non potendo inserire tra il motore e la parete posteriore un ventilatore e un radiatore, se non allungando la vettura (con un conseguente aumento del peso e perciò del costo), Giacosa sistemò il radiatore a lato del motore, con il ventilatore calettato sull’alberino della pompa dell’acqua, che avrebbe spinto l’aria per la ventilazione del radiatore in avanti, in senso contrario al moto della vettura. Riscaldata dal radiatore, l’aria si raccoglieva nel tunnel centrale della carrozzeria  e poteva essere utilizzata sia per il riscaldamento dell’interno vettura sia per lo sbrinamento dei vetri. Anche la sospensione anteriore a ruote indipendenti era di nuova concezione, mutuata dalle tendenze americane. La balestra trasversale, ancorata alla scocca portante in due punti equidistanti dalle ruote e tra loro, assolveva ad un tempo la funzione di elemento elastico per il molleggio e di elemento antirollio. Veniva così a costituire un’efficace barra stabilizzatrice, senza indebolire l’indipendenza di ogni ruota, e con un non indifferente vantaggio dal punto di vista economico.

Si era però presentato un problema, conseguente alla scelta del “tutto dietro”. La presenza del motore impediva di sistemare una eventuale porta posteriore per la versione giardinetta. Era invece necessario pensare fin da quel momento a cosa avrebbe potuto sostituire la Giardinetta 500 C Belvedere, molto richiesta. Arrovellandosi su questo scoglio, Giacosa comprese che per creare uno spazio equivalente a quello della Giardiniera, fra lo schienale dei sedili anteriori e il vano del motore, non restava che spostare il posto di guida verso l’avanti. Soltanto nella parte anteriore, infatti, vi era margine di azione; quella posteriore doveva rimanere uguale alla “100”, il che costituiva un pesante vincolo alla progettazione; diversamente, però, sarebbe stato difficile sostenere che una versione derivava dall’altra. Battezzata la nuova vettura “100 familiare”, si cominciò a costruire il modello in gesso, e quindi si passò ai disegni per il prototipo. Solamente con la macchina davanti agli occhi, ci si sarebbe potuto rendere conto se effettivamente la vettura, con la sua grande porta laterale, ma priva della porta posteriore, risultava spaziosa e in grado di accogliere carichi voluminosi. La prova convinse. Era nata la Multipla.

Intanto il tempo passava, e giunse il momento in cui Valletta decise che occorreva il definitivo assenso del Comitato di Presidenza (con Agnelli Presidente, Camerana Vice Presidente, Bruschi, Genero, Bono, Gajal, Ghiglione, Fiorelli, De Regibus). La riunione si svolse il 15 luglio 1953, al palazzo della Riv a Torino, in corso Vittorio Emanuele. All’ordine del giorno un unico argomento: “la nuova vettura minima a quattro posti da realizzarsi in sostituzione della 500”. La discussione fu animata, ma in conclusione il progetto fu approvato, e poté proseguire con ancora maggiore slancio. Nel giro di pochi mesi furono approntate dieci vetture sperimentali, assegnate in parte al Servizio Esperienze, in parte al Servizio Assistenza clienti. All’inizio del 1955 la Fiat era in grado di iniziarne la produzione.

Il lancio fu deciso per il Salone di Ginevra, in calendario come sempre a marzo. L’impatto fu sensazionale, e non pochi osservatori rilevarono come il Salone si fosse trasformato in un Salone Fiat, complice anche il fatto che non venivano presentate altre novità di rilievo, tranne la Mercedes 190 SL. I titoli dei giornali locali, specializzati e non, non mancarono di sottolineare il successo della vetturetta: “Fiat Sechshundert… ein Wunder!” (la Fiat seicento, un prodigio!); “l’essayer pour y croire, l’essayer c’est y croire” (provare per crederci, provare è crederci); “la Fiat 600, une voiture dangeureuse pour les autres constructeurs” (la Fiat 600, una vettura pericolosa… per gli altri costruttori); “la Fiat 600, la fin du piéton” (la Fiat 600, fine del pedone). Auto Italiana non fu da meno, parlò della 600 come di una “vettura perfetta, vero trionfo del collaudo preventivo…un piccolo gioiello di vettura, dall’aspetto sbarazzino ed insinuante, nella quale pare impossibile, di primo acchito, che trovino spazio quattro persone”. Invece non soltanto la Seicento era una vera quattro posti, ma risultava di ben 13 centimetri più corta della 500 C , di tre centimetri più bassa, e di 9 centimetri più larga. Al posto di guida si sta “alti, larghi, liberi, euforici” (Auto Italiana).

 

In Italia, intanto, il panorama stava davvero cambiando. Si era concluso da tre anni il piano di aiuti ERP (European Recovery Program) avviato dal segretario di Stato americano George Marshall, di cui la nostra nazione aveva ricevuto una parte cospicua: 1515 milioni di dollari, circa 664 miliardi di lire di allora. La produzione industriale, fatto 100 l’indice del 1938, era risalita al 127 per cento nel 1951; le esportazioni erano triplicate in quattro anni; la produttività aumentata. Finita la fase della ricostruzione, era iniziata la fase della crescita: nel 1954 la produzione industriale era dell’81% superiore a quella del 1938. Era il panorama dei consumi pro-capite ad essere ancora mortificante. Due famiglie su tre non disponevano di bagno interno, gas e telefono; una casa su quattro mancava dell’acqua corrente; il 38% delle famiglie non mangiava mai carne; due milioni di famiglie non conoscevano lo zucchero. Soprattutto si era ulteriormente allargato il crudele divario tra Nord e Sud: se nell’Italia nord-occidentale il reddito pro-capite era di 126 (rispetto ad una media generale di 100), nel Mezzogiorno la quota precipitava a 58. Il 25% dei meridionali superiori ai sei anni era analfabeta, contro una media nazionale del 6%. In questa Italia, così divisa ma così determinata a lasciarsi finalmente alle spalle miseria, ristrettezze e cappotti rivoltati, arrivò la Seicento, insieme a “Lascia o Raddoppia”, la popolarissima trasmissione televisiva di Mike Buongiorno, mentre Pasolini pubblicava “Ragazzi di Vita”, e la Callas cantava la Traviata alla Scala di Milano. Costava 590 mila lire, circa 10 stipendi da operaio, sei da impiegato, ed era possibile acquistarla a rate. Le famiglie lo fecero, firmarono cambiali, si indebitarono… e ce la fecero. La prima utilitaria italiana diede agli italiani il coraggio di consumare, di rischiare qualcosa, di assaporare un po’ di  benessere, non molto, ma già tanto rispetto al passato. Alla fine degli anni cinquanta 81 italiani su 1000 avevano il televisore (gli altri 919 andavano a casa degli 81), il consumo di carne, uova, formaggio e burro era raddoppiato, triplicato quello dell’olio di oliva, quadruplicato quello di zucchero e caffè. Indicativo invece che il consumo di polenta e fagioli, ossia di cibo povero, fosse diminuito del 65%. Si parlava di “weekend”, si andava in autostrada (è del 1959 l’apertura del primo tratto dell’Autostrada del Sole).La produzione di automobili passò, in dieci anni, da 119.267 unità (1951) a 693.695 (1961); la circolazione da 425.283 automobili nel 1951 a 2.449.123 nel 1961, un veicolo ogni 17 abitanti. “Ecco perché – scrisse lo storico Valerio Castronovo – sul piano delle più tenere e confortanti memorie collettive, non sentiamo ragioni. La voce del cuore dice che è lei, la “600”, l’auto del secolo, almeno del secolo italiano”.

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